La morte violenta di un bambino piccolo, spesso molto più un di un delitto efferato perpetrato ai danni di un adulto, ci sprofonda in una caverna nel quale perdiamo ogni punto di riferimento, e la cui oscurità fa affiorare la nostra parte animalesca e istintiva.
È quello che deve essere successo oggi a Claudio Magris, che nel suo editoriale su Corriere.it afferma che è davvero faticoso resistere alla tentazione di invocare la pena di morte, per crimini così ripugnanti. Condivido la sua fatica, perché fatti del genere mi fanno bollire il sangue, oltre che riempirmi il cuore di una tristezza sconfinata.
Ma da questa caverna bisogna trovare una via d’uscita, e Magris la individua, almeno in parte, quando cita le parole di Stefano Jacomuzzi che, parlando di un bambino morto per malattia, dice che la sua esistenza è stata comunque:
«piena di fatti, di parole, di sentimenti, voglie, grida, risa, pianto, corse, gioconde ghiottonerie, interrogazioni, stupori».
È un buon inizio, senza dubbio, ma non credo che sia sufficiente per lenire il dolore di chi resta, né tanto meno placare la sete di vendetta. Credo sia necessario andare oltre, spingersi fino all’assurdo (come nelle dimostrazioni matematiche) di considerare quella giovane vita qualcosa di molto di più, anzi di sublime, talmente sublime da sfuggire alla coscienza ordinaria.
Se, per ipotesi, considerassimo questa morte (che sia per delitto o per malattia non fa alcuna differenza, ai fini di questo esempio assurdo), come un grande sacrificio d’amore, ecco che tutto comincia ad assumere una prospettiva differente. Anzitutto verrebbe da chiedersi per chi o che cosa viene compiuto questo sacrificio. E la risposta non può che trovarsi su di un piano in cui vige l’unità compresente dell’Amore presente, passato e futuro, nel quale vengono poste liberamente le cause delle vite di ciascun uomo.
Ma che senso ha tutto questo? Se osservato dal punto vista della singola vita che muore prematura, nessuno. Ma se si considera l’umanità intera come un organismo unitario di cui ogni essere umano è un membro vivente, allora si può ipotizzare che questo sacrificio sia un atto volto a infondere coraggio in quegli uomini che, dovendo ancora nascere, trovano spaventoso doversi incarnare in un mondo abitato da esseri disumani, come le bestie che hanno ucciso il picco lo Nicola.
È per dare coraggio a questi uomini, e magari anche per gettare n piccolo seme di luce di redenzione ai suoi carnefici, che il piccolo Nicola ha rinunciato a una vita di volizioni e di sentimenti in questo mondo. E ogni atto di rinuncia, come si sa, è sempre un grande atto di amore e libertà.